SVADHYAYA. La profonda conoscenza di noi stessi

Hari om guerrieri della luce.

Il tema che affronteremo oggi è “Svadhyaya”, la profonda conoscenza di noi stessi.

Il termine Svadhyaya è utilizzato nell’induismo. Esso deriva dalla radice sanscrita sva che significa “sé” o “proprio” e adhyaya che significa “lezione”, “lettura” o “conferenza”. Può anche essere interpretato come proveniente dalla radice dyhai, che significa “meditare o “contemplare. Entrambe le interpretazioni connotano uno studio approfondito del sé.

Svadhyaya è il cuore dello Yoga, perché ci libera dai vecchi schemi di pensiero. Se ci troviamo in una situazione già vissuta , non reagiamo in base alla esperienza precedentemente, ma vediamo la situazione come nuova e vi entriamo in modo aperto, senza giudizi. Se continuiamo ad analizzare noi stessi, pian piano ridurremo la quantità di pensieri negativi e diventeremo una persona più felice. Semplicemente perché sostituiamo le vecchie connessioni che abbiamo creato nella nostra mente con altre nuove e positive.

Se ci riflettiamo, è con noi stessi che passeremo tutta la nostra vita, nel bene e nel male. Eppure quanti possono dire di conoscere veramente il proprio “sé”?

Potrebbe sembrare una domanda scontata, ma una volta iniziato ad esplorare questo argomento ci accorgiamo che ci sono alcuni aspetti peculiari di noi stessi che non avevamo mai notato – ad esempio un utilizzo ripetuto di una certa parola, un tic nervoso a cui non avevamo mai prestato attenzione.

Tutte queste sfaccettature e il percorso per arrivare a conoscerle e decifrarle sono alla base del concetto di svadhyaya, lo studio di sé stessi.

Pensare positivo, potrebbe essere difficile. Forse tu obbietterai: “È facile da dire, difficile da fare”.

Sì, è così. Richiede un piccolo sforzo, ma nella maggior parte dei casi si può trovare una prospettiva positiva di guardare le cose.

Tutti abbiamo la responsabilità della nostra vita. Le cose brutte succedono, ma il modo in cui reagiamo è quello che fa la differenza. Possiamo rimanere bloccati nelle nostre emozioni, e portare rancore, oppure possiamo guardarci allo specchio e cambiare attivamente idea. È una scelta. Che cosa sceglierai?

Meditare e fare yoga sono ottimi modi per praticare svadhyaya, rivolgendo l’attenzione verso l’interno piuttosto che verso l’esterno. Lo studio autonomo nello yoga significa anche studiare il corpo e comprenderne le esigenze e i limiti.

Fondamentalmente, svadhyaya si divide in tre stadi:

1. Il primo passo è quello di imparare ad Osservare noi stessi come se ci stessimo guardando in terza persona, da un occhio esterno.

2. Il secondo passo è la Comprensione. Più si medita su sé stessi, più domande ci si pone. Più si prosegue con questa disciplina, più quesiti verranno a galla spontaneamente.

3. Terzo e ultimo passo è la Separazione e unione. Alla fine del percorso di introspezione, arriveremo a capire quali azioni e pensieri identificano il “vero” Sé e quali sono invece solo una facciata costruita per il “ruolo” che abbiamo deciso di interpretare o che ci hanno imposto le situazioni che abbiamo vissuto.

Svadhyaya cambia pensieri “negativi” in “positivi”. Se ti prendi il tempo di riflettere sul perché senti quello che senti e perché reagisci come reagisci, arriveranno le risposte che ti serviranno per intraprendere la via della “serenità”. È un processo molto efficace è un detox mentale.

Mentre intraprendi il percorso sull’ascolto e lo studio profondo del proprio sé, puoi fare anche Santosha. È un atteggiamento di gioia, nell’accogliere ciò che si ha in questo momento della propria vita, in piena gratitudine.

Pensieri positivi, pensieri negativi: sono nelle tue mani. O meglio: nella tua mente.

C’è quasi sempre qualcosa di positivo da trovare, se vuoi realmente trovarlo.

Rifletti: “Tutti muoiono, non tutti però vivono realmente” William Wallace.

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